Perché i genitori lo chiamarono Alberto

Pietro Sordi e Maria Righetti si sposarono il 10 luglio 1910. Il loro terzogenito morì pochi giorni dopo il parto, il 24 maggio del 1916. Si chiamava Alberto. Maria non superò mai quel lutto: soltanto con la preghiera riusciva a lenire il grande dolore. Quasi nessuno, se non i parenti che furono vicini alla coppia in quel momento drammatico, conosce questo particolare. Pietro e Maria preferirono tenere questo dolore dentro di loro. Anche Alberto ne parlò soltanto una volta con mio padre, ma cambiò subito argomento. Lui sapeva che il suo nome gli fu dato proprio in ricordo del fratello scomparso. E anche per questo motivo non voleva essere chiamato Albertone.

Da dove derivano le sue due più celebri esclamazioni

Ha cavalcato a suo favore sia la leggenda dell’avarizia, interpretando anche il film “L’avaro”, sia il fatto di essere rimasto scapolo spiegandone, con la consueta ironia che lo contraddistingueva, i motivi con la celebre frase “E che, me metto un’estranea dentro casa?”. Alberto, però, rielaborò quella frase dell’amico Mario Bonnard, regista di alcuni suoi film come “Mi permette, babbo!” del 1956 e “Gastone” del 1960, con il quale spesso amava giocare a carte. Bonnard disse: “Che faccio? Mi metto un fagottone nel letto? Un’estranea in casa?”. Ad Alberto piacque molto e, con il suo modo unico di esprimere i concetti, la fece sua.

Anche la celeberrima frase pronunciata dal Marchese del Grillo Me dispiace, ma io so’ io… e voi nun siete un cazzo è una citazione dal sonetto “Li soprani der monno vecchio” (I sovrani del mondo antico) di Giuseppe Gioachino Belli (Io sò io, e vvoi nun zete un cazzo) espressa da Alberto a modo suo.

Nel suo amato cinema-teatro tolti i divani di velluto voluti da Alberto e sostituiti con sedie di plastica

A proposito della sala cinematografica-teatro dove Alberto vedeva i film con, al suo interno, un vero e proprio palcoscenico, il soffitto ricoperto totalmente con bassorilievi a forma di pellicola e ai lati alcune sculture di Ceroli rappresentanti l’allegoria delle arti, lascia attoniti la recente scelta di aver sostituito i meravigliosi divani di velluto di colori diversi (voluti da Alberto) della platea con file e file di anonime sedie in plastica blu che si possono trovare in un qualunque centro congressi.

Sedie che hanno tolto quel fascino voluto e pensato da Alberto con i divani di velluto che rappresentavano lo spirito e l’essenza del suo modo di concepire quello spazio intimo e raccolto a lui tanto caro. Dal 2015, tra l’altro, gli oggetti della villa sono sotto tutela dei Beni culturali. Quando si destina a museo la casa di un personaggio tutto dovrebbe restare come il personaggio ha voluto gli ambienti per evitare di creare un falso agli occhi del pubblico che, per la prima volta, la visita convinto di avere di fronte la versione originale.

Alberto voleva destinare la sua villa a orfanotrofio

“In questa casa – disse Sordi – non c’è mai stato il sorriso di un bambino”

A quei familiari che gli erano più vicini, così come alla sua segretaria storica Annunziata Sgreccia, alla contessa Patrizia de Blanck con la quale ebbe una love story nei primi anni Settanta, al medico di fiducia della famiglia dal 1992 al 2011 nonché grande amico Rodolfo Porzio, Alberto ha sempre detto di voler destinare la sua villa faraonica a orfanotrofio. E Aurelia, l’ultima delle sorelle morta nel 2014 a 97 anni, voleva rispettare il desiderio del fratello.

“Il professor Porzio, che operò Alberto più volte negli anni – scrive Igor Righetti nel volume – ribadì le volontà di mio cugino anche durante un’udienza del processo penale che si svolse a Roma sul presunto raggiro da 2,3 milioni di euro ai danni della sorella Aurelia”. Nel 2019, in primo grado, l’autista, il notaio, gli avvocati e i domestici sono stati assolti perché il fatto non sussiste. Un processo che aveva visto imputate nove persone accusate a vario titolo di circonvenzione di incapace e ricettazione. Il pubblico ministero Albamonte ha appellato la sentenza di primo grado. La magistratura, quindi va avanti.

“Se fosse vero quanto ha dichiarato il professor Porzio sotto giuramento in merito alla volontà di Alberto di voler destinare la sua villa a orfanotrofio – afferma Igor Righetti – dovremmo pensare che Aurelia abbia disatteso le priorità del fratello, ma questo noi familiari rifiutiamo di crederlo. Chi conosceva veramente Alberto sa che frequentava gli orfanotrofi e che aveva adottato a distanza decine di bambini, filantropia sempre fatta in silenzio, come era il suo stile. Alberto spiegò anche il perché di quella sua decisone: ‘In quella casa – disse – non c’è mai stato il sorriso di un bambino’. Dopo aver costituito la Fondazione per gli anziani e quella per i giovani artisti con poche possibilità economiche, l’apertura dell’orfanotrofio sarebbe stato il compimento della grande generosità umana che lo ha sempre caratterizzato. Un museo dedicato a lui, in effetti, sarebbe stato lontano dal suo modo di essere, estremamente riservato. La sua villa l’aveva sempre protetta da sguardi indiscreti con estrema fermezza e mai avrebbe voluto che fosse mostrata al pubblico. L’avrebbe sentita come una violazione della sua intimità. Dall’altro canto si capisce la morbosità della gente che nulla aveva mai saputo o visto della vita privata di Alberto. Curiosare nelle stanze in cui dormiva, nel suo bagno, nella barberia o vedere il suo guardaroba per alcuni può avere un fascino particolare”.

Sulla villa trasformata in museo interviene anche Patrizia de Blanck: “Secondo me adesso Alberto si starà rivoltando nella tomba. Lui detestava le autocelebrazioni e mai avrebbe voluto orde di curiosi nelle sue stanze. Più volte mi confidò di volerla lasciare a un istituto religioso che accoglieva bambini privi di famiglia. Questo era Alberto Sordi che ho conosciuto io. Tra l’altro questa Fondazione Museo non l’ha neppure creata lui, so che è nata diversi anni dopo la sua morte”.

Perché non ha mai interpretato personaggi politici

Alberto amava ripetere: “In Italia si dice che il popolo è sovrano. Ma sovrano de che? Il nostro Paese, purtroppo, ha avuto una classe politica che si è impegnata nella conquista del potere per interessi meramente personali”. Alberto Sordi ha interpretato tanti personaggi, ma mai i politici in quanto, diceva, che recitavano già loro e che sarebbe stata una sovrapposizione inutile. Con la sua ironia sottolineava che qualche parlamentare avrebbe meritato l’Oscar per la credibilità delle loro interpretazioni. Negli anni Cinquanta, la Democrazia cristiana gli chiese di fare il sindaco di Roma. Pur cattolico declinò l’invito. Altre proposte di entrare in politica le ricevette un po’ da tutti i partiti. Affermava che nell’Italia politica degli ultimi anni ci fosse tanta mediocrità.

Nel 1995, il critico cinematografico Tullio Kezich in un suo articolo invitò il presidente Scalfaro ad attribuire ad Alberto la carica di senatore a vita. All’epoca i politici si divisero su questa eventuale nomina: per il regista Pasquale Squitieri, senatore di Alleanza nazionale, era “un’idea splendida e legittima”, in quanto – dichiarò all’AdnKronos – “è un genio assoluto del teatro e del cinema: così lo considerano in America e nel mondo intero. È il testimone vero e reale della vita pubblica e privata dell’italiano”. Di tutt’altra opinione, invece, fu il progressista Raffaele Bertoni, presidente della commissione Difesa di Palazzo Madama, il quale affermò: “I suoi personaggi rappresentano il peggio dell’italiano. Quindi non mi sembra opportuno nominarlo senatore a vita”. Ad Alberto fece molto piacere questa proposta e si sentì onorato. Ma la cosa non andò avanti. Il politichese e il mondo della politica erano troppo distanti da lui. Ciò che lo faceva più ridere erano le motivazioni dei politici contrari alla sua eventuale nomina a senatore a vita.

Certo i personaggi da lui interpretati erano scomodi, ma reali. E proprio per questo fu anche accusato di essere anti-italiano, lui che invece amava la sua patria come la sua professione. Lui che non ha mai lasciato Roma nonostante le tante proposte ricevute dagli Stati Uniti. Neppure Alberto ha amato molti dei suoi personaggi, ma era un attore, e come maschera non interpretava certo se stesso. Si ispirava alla realtà, osservava e raccontava i mutamenti sociali del Paese. La sua vasta produzione cinematografica rappresenta una sorta di autobiografia dell’Italia. È stato quindi l’attore italiano più politicamente scorretto. Ma Alberto fece bene a non replicare mai ai suoi detrattori. Ha sempre evitato le polemiche. A differenza di tanti suoi colleghi attori e registi di ieri e di oggi, lui era fuori dal sistema, non è mai stato iscritto a nessun partito politico e con noi familiari se ne vantava (anche se sapevamo che votasse Democrazia cristiana). Non si è mai fatto strumentalizzare dalla politica per ottenere il consenso del pubblico. Era il prezzo da pagare per restare un attore libero. Anche con mio nonno e con mio padre ha sempre preferito non parlare di politica. Ci diceva che un attore che vuole fare satira come faceva lui doveva avere la mente libera, senza vincoli con nessun partito in modo da poter interpretare ogni personaggio in modo imparziale e quindi credibile. Il pensiero opposto di tanti registi e comici. Nel libro c’è anche l’intervista inedita che Donatella Baglivo, regista, montatrice e produttrice cinematografica, amica di Alberto, fece a Sordi nel 1997. Alla domanda “Che cosa mi puoi dire di Berlusconi?”, rispose: “Io non capisco come mai Berlusconi è entrato in politica, non gli mancava nulla, era già un uomo di potere, chi gliel’ha fatto fare?”.

Il suo rimpianto più grande: non essere stato candidato dall’Italia agli Oscar

Alberto ha interpretato con maestria ruoli drammatici e comici raccontando l’Italia e gli italiani. Nella sua lunga carriera artistica durata oltre sessant’anni e con più di 200 film all’attivo (ma lui stesso ne aveva perso il conto) ha ricevuto tanti riconoscimenti prestigiosi (nove David di Donatello, sei Nastri d’argento, un Orso d’oro e un Orso d’argento a Berlino, un Golden Globe e il Leone d’oro alla carriera alla Mostra del cinema di Venezia) ma mai l’Academy Award. E aveva un rimpianto: quello di non essere stato candidato dall’Italia agli Oscar. Ma lui ci sperava ancora ad averne uno. Ci raccontò che Charlie Chaplin lo aveva ricevuto a 83 anni. Alberto, invece, è morto a quasi 83 anni, ma l’ambita statuetta non è mai arrivata.

Per colmare questa grave mancanza, assieme all’Associazione “L’Arte di Apoxiomeno” e al suo presidente e direttore artistico dell’Apoxiomeno International Award Orazio Anania, mi sono attivato affinché venga presa in considerazione dall’Academy la possibilità di assegnare l’Oscar alla carriera o un Premio alla memoria ad Alberto, uno dei nostri maggiori protagonisti della cinematografia italiana.

Una soddisfazione, postuma, Alberto l’ha avuta a marzo del 2003, un mese dopo la sua morte: in un filmato in cui comparivano grandi attori e registi scomparsi come Billy Wilder, Rod Steiger e Dudley Moore apparve l’immagine del suo volto in una sequenza del film diretto da Ken Annakin “Quei temerari sulle macchine volanti” del 1965.

Perché l’Italia non lo ha mai candidato all’Oscar? A questa domanda mi rispose che il fatto di essere così popolare e così amato da tutte le fasce di età e di ceto sociale avevano giocato a suo svantaggio: per gli snob della cultura queste caratteristiche nazional-popolari sono viste come negative. In effetti, Alberto non ha mai amato i critici cinematografici, a eccezione di alcuni. Diceva spesso: “In Italia i critici si commuovono soltanto davanti ai sarcofagi. Basti pensare che cosa hanno fatto con Totò, lo hanno beatificato soltanto dopo la sua morte”. Molti critici cinematografici italiani avevano massacrato le interpretazioni di Alberto sia all’inizio della sua carriera sia durante tutta la sua intensa attività artistica. Interpretazioni che invece erano state osannate, per esempio, dai critici di altri Paesi come la Francia e che avevano avuto grande apprezzamento da parte del pubblico e quindi grandi incassi.

Alberto su Nino Manfredi:

“Se io sono avaro lui è veramente tirchio”

Mi colpì molto Nino Manfredi quando lessi una sua intervista sul quotidiano “La stampa” pubblicata il 9 aprile 1994 dove dichiarava: “Sordi non ha mai fatto altro che se stesso in vita sua ed è per questo che oggi è finito”. A questa affermazione, Alberto, come suo stile, non replicò, ci disse soltanto che Manfredi era stizzito perché consapevole che lui avesse una marcia in più. Il critico cinematografico e giornalista Marco Spagnoli, durante un’intervista gli chiese un commento su quell’esternazione di Manfredi e Alberto rispose lapidario: “Io sono anziano e Manfredi è un mio coetaneo. Soffro di certi doloretti, e sa, sono cose che possono accadere ad una certa età, perché alla nostra età o ti prende alle gambe oppure alla testa. A Nino, evidentemente, non lo ha preso alle gambe…”.

Non a caso a noi familiari non ne ha mai parlato come suo amico. Anzi, ci svelò che se lui era avaro, Nino Manfredi era veramente tirchio. Nel libro lo conferma anche Pippo Baudo: “In una mia trasmissione a Taormina in cui c’erano Vittorio Gassman, Alberto Sordi, Ugo Tognazzi, Nino Manfredi e Monica Vitti insieme, a un certo punto domandai quale fosse il loro rapporto con il denaro. E Nino Manfredi rispose da vero tirchio mentre Alberto Sordi disse: ‘Mi danno del tirchio, ma qui di tirchio ce n’è un altro’. Ed era Nino, lui era veramente tirchio. Poi, onestamente, i fatti hanno dimostrato che Alberto Sordi ha donato tutto, ha fatto il campus Bio-medico di Roma che è un capolavoro e anche all’ospedale Bambino Gesù ha dato un sacco di soldi”. Alberto ne parlò anche con Patrizia de Blanck: “Mi disse che Nino Manfredi era più taccagno di lui. Pensava che fosse indispettito dal fatto che Sordi avesse avuto tutto questo successo senza aver frequentato scuole di recitazione”.

In appello il processo penale a carico dei domestici, due avvocati e un notaio

A proposito della lucidità o meno di Aurelia Sordi (morta il 12 ottobre 2014 a 97 anni) prima della firma del testamento in cui designò erede universale del suo patrimonio la Fondazione Museo Alberto Sordi istituita da lei stessa il 31 marzo 2011, venti giorni prima che firmasse le volontà testamentarie (21 aprile 2011), il professor Rodolfo Porzio, già primario dell’ospedale Sant’Eugenio di Roma, medico curante di Alberto e Aurelia, sotto giuramento dichiarò: “Anche dopo la morte di Sordi ho continuato a visitare la signorina Aurelia ogni quindici-venti giorni. Tra gennaio e febbraio del 2011 (il testamento di Aurelia risale ad alcuni mesi dopo, nda) la trovai svanita e con allucinazioni (raccontava con estrema naturalezza che le persone le parlavano dalla televisione e lei rispondeva instaurando un dialogo con loro, nda), tanto che mi raccomandai con il personale di servizio di starle dietro per evitare che facesse atti inconsulti. Non ho mai preso una lira per curare Alberto e Aurelia in quanto c’era amicizia: per me era un onore essere medico di fiducia di Alberto Sordi”. Porzio, inoltre, spiegò: “Vidi la signorina Sordi fino al rientro dalle sue vacanze, a settembre del 2011. A ottobre mi furono chiuse le porte della villa, non mi fu più permesso di entrare e non riuscivo a parlarle neppure al telefono. Mi arrivò una lettera dell’avvocato Martino con la quale mi si chiese di non insistere a telefonare”.

Il professor Porzio ha inoltre ribadito che “Alberto non faceva entrare nessuno nella sua villa” smentendo così tanti personaggi che in questi ultimi anni hanno sostenuto di essere di casa nel ‘rifugio’ di Sordi.

Fu ascoltato anche l’altro medico di Alberto Sordi, Luigi Baratta, che lo assisteva fin dal 1995, il quale confermò le allucinazioni di Aurelia Sordi e al quale fu riservato lo stesso trattamento: “Sono stato il medico di Alberto Sordi per sette anni – ha dichiarato – e ho seguito pure Aurelia, anche se più saltuariamente. Ha iniziato ad avere delle allucinazioni, erano forme iniziali in rapporto all’età: vedeva personaggi importanti della televisione che si rivolgevano a lei. Parlammo anche con il personale della villa dicendo di seguirla attentamente, sottolineando che era necessario avvertirci: da allora è stato impossibile contattarla”. Sempre Luigi Baratta ha affermato che Alberto Sordi “temeva che Aurelia avrebbe trovato difficoltà nella gestione del patrimonio nonostante i suoi sforzi per facilitarle tali compiti”. Del resto Aurelia era una persona semplice e con istruzione modesta.

Allontanati i medici curanti, quindi, così come noi familiari fummo tagliati fuori dalla vita di Aurelia dopo la morte di Alberto. Stessa sorte toccò all’amica del cuore di Aurelia, Giovanna Siciliani, la quale fino all’estate 2011 aveva passato con lei le vacanze estive. Giovanna Siciliani ha dichiarato: “Abbiamo trascorso le vacanze estive insieme per l’ultima volta nell’agosto 2011. Finita la vacanza non sono più riuscita a contattare Aurelia né a rivederla. In precedenza noi ci sentivamo spesso, almeno tre volte alla settimana”.

Noi familiari venimmo a conoscenza dai media del presunto raggiro ai danni di Aurelia in seguito all’inchiesta della magistratura. Eravamo ignari di tutto ciò che era stato ipotizzato dalla Procura della Repubblica, in quanto la linea telefonica diretta di Aurelia era stata disattivata e, negli ultimi anni, ogni volta che chiamavamo in villa, non riuscivamo più a comunicare con lei in quanto il personale di servizio che rispondeva, immancabilmente affermava che Aurelia non era disponibile. Alcuni di noi, non potendola più sentire al telefono, anche soltanto per gli auguri in occasione delle festività, e preoccupati per il suo anomalo silenzio, si recarono addirittura alla villa, ma il personale di servizio non aprì il cancello.

Curiosa anche la sparizione della fedele segretaria di Alberto per oltre cinquant’anni, Annunziata Sgreccia, la quale fu colpita da una malattia che la obbligò ad abbandonare il lavoro e poi al ricovero. Di lei non si seppe più nulla per anni: fu ritrovata grazie all’appello lanciato nel programma di Barbara D’Urso “Domenica Live” su Canale 5. Gli ultimi anni li ha trascorsi in una residenza per anziani in provincia di Roma. La direzione della residenza non consentì di parlarle. Annunziata conosceva tutto della casa dato che si occupava anche della sua gestione domestica e finanziaria.

Dopo l’azione della Procura noi familiari ci rivolgemmo agli avvocati Andrea Maria Azzaro e Francesca Coppi e fummo ammessi come parte civile al processo penale per aiutare la magistratura a fare chiarezza.
Nel 2019, in primo grado, l’autista, il notaio, gli avvocati e i domestici sono stati assolti perché il fatto non sussiste in merito al presunto raggiro da 2,3 milioni di euro ai danni di Aurelia Sordi. Un processo che aveva visto imputate nove persone accusate a vario titolo di circonvenzione di incapace e ricettazione. Il pubblico ministero Albamonte ha appellato la sentenza di primo grado. La magistratura, quindi, va avanti.

Il rapporto con Carlo Verdone

Nel mio elenco degli amici di Alberto in molti si stupiranno di non trovare il nome di Carlo Verdone, figlio del critico cinematografico Mario Verdone, padre anche di Silvia, moglie di Christian De Sica.

A noi familiari, come anche alla contessa Patrizia de Blanck, Alberto rivelò di non essersi trovato bene sul set del film “Troppo forte”. Ci disse che Verdone aveva avuto paura di essere oscurato da lui in un film diretto da Verdone stesso. Di lui non ci disse altro.

I fatti parlano chiaro: dopo quel film non lavorarono mai più insieme. Quello che colpisce è che da quando Alberto è morto, Carlo Verdone si è imposto sui media come il suo più grande conoscitore rilasciando interviste su qualunque mezzo di comunicazione. Lo abbiamo visto all’interno della villa di Sordi indossare i cappelli usati da Alberto nei suoi film, mostrare a tutti il guardaroba personale del grande attore, si è fatto fotografare alla guida della Fiat 124 familiare che Agnelli regalò ad Alberto. Nel 2013, in occasione dei dieci anni dalla scomparsa di Sordi, Carlo Verdone assieme al fratello Luca, realizzò il documentario “Alberto il Grande” dove, per la prima volta, mostrò al pubblico la villa di Sordi. Chi conosceva bene Alberto sa che non aveva mai fatto entrare né fotografi né telecamere all’interno del suo “rifugio”. Le telecamere dei fratelli Verdone “frugarono” in tutte le stanze: dalla barberia alla camera da letto fino alla stanza guardaroba indugiando sui completi, sulle giacche e sui cappotti che indossava.

Carlo Verdone: “Non c’è niente da dire su Sordi e le donne. Non ci sono donne”

Durante una presentazione pubblica del documentario “Alberto il Grande”, Carlo Verdone rispose così alla domanda giunta dalla platea sul perché nel suo docufilm non si fosse parlato del rapporto di Alberto Sordi con le donne: “Noi non dovevamo approfondire assolutamente nulla perché non c’è niente da dire su Sordi e le donne, non c’è assolutamente niente da dire. C’è da dire su Sordi e le sorelle, su Sordi e il ricordo della madre. Ma su Sordi e le donne? Quando? Quali? Non ci sono donne. L’unica fotografia che noi abbiamo trovato a casa Sordi l’abbiamo inquadrata. È una fotografia con una dedica affettuosa di Soraya, sta là. Ma tutte le altre? La Vitti? La Cardinale? Non esiste fotografia di nessun altro attore. Soltanto questo bel profilo di Soraya che sta lì come un’icona”.

Poi, però, aggiunse: “Secondo me Sordi ha avuto probabilmente degli amori che non sappiamo, era una persona molto pudica. Non lo so che amori può avere avuto Sordi. Quello che noi sappiamo e che è documentato è quello con Andreina Pagnani all’inizio della sua carriera. Ne parla Fofi, ce lo descrive benissimo”. A noi parenti, invece, Alberto raccontò di quella sua bellissima storia d’amore con Andreina Pagnani. Non c’è mai stato bisogno di sentire il critico cinematografico Goffredo Fofi. Ma a quanto pare Alberto con Verdone non si sentì di parlarne.

Sempre durante quella presentazione pubblica Luca Verdone, il fratello di Carlo, gli sussurrò che in effetti qualche amica la portava. “Portava delle amiche ogni tanto – precisò Carlo Verdone – delle belle ragazze, delle modelle che uscivano con lui. Però il giorno dopo non c’erano più, sparivano. La Mangano non è possibile per tanti motivi. Erano tutti amori platonici. Sordi ha sposato se stesso, le sorelle, la famiglia e il culto della sua persona. Se vogliamo essere sinceri. Basta!”. Da quanto dichiarato da Verdone si evince che Alberto non si confidò con lui. Purtroppo, questo suo intervento pubblico ha generato decine e decine di messaggi scritti a commento del video della presentazione pubblicato su YouTube che ha oltre 146 mila visualizzazioni.

Quelle voci sulla sua intimità

In Italia, si sa, tutti hanno la presunzione di sapere tutto e su un tema pruriginoso come questo – e su un personaggio di così grande successo che ha difeso con le unghie e con i denti la sua vita privata – i cosiddetti “leoni da tastiera” hanno avuto l’occasione di potersi sfogare. Questi alcuni commenti lasciati sotto il video della presentazione con le affermazioni di Carlo Verdone: “Che fosse impotente? Non è mai stato beccato con una donna”, “Sordi era chiaramente omosessuale”, “Oggi si direbbe che era un asessuato”, “Era per l’amore platonico”, “Probabilmente aveva fatto voto di castità”, “Visto il sederone, le spalle strette e il fisico ginoide può darsi che a livello ormonale non avesse tutto questo desiderio”, “La ragione dell’assenza di donne in campo sentimentale è molto semplice: era brutto come il peccato”, “Quanta tensione in questo filmato. Non si può proprio dire la verità, eh, Carlo? Spiegherebbe la storia con una sola parola di origine straniera di tre lettere ma sarebbe uno shock per un Paese come l’Italia” e via con la fantasia. Altri invece hanno scritto che dal video si intuisce che a Verdone, Alberto Sordi non stesse simpatico (mi autocensuro perché la parola usata è molto più volgare). Le dichiarazioni di Verdone senza che il diretto interessato (Alberto Sordi) potesse poi rispondere, provocarono la curiosità di alcuni miei colleghi giornalisti che mi intervistarono per sapere la verità sul rapporto di Alberto con le donne e su una sua eventuale omosessualità. Anche in questo caso, soltanto i parenti che lo hanno frequentato sin da ragazzo conoscono alcuni fatti. Dico alcuni perché Alberto era comunque molto riservato. Mi chiamarono colleghi della carta stampata, delle radio e delle tv. Fu allora che feci alcuni nomi di donne di cui Alberto parlò con mio nonno, con mio padre e che sapevo in prima persona come la sua love story con Patrizia de Blanck. Non perché reputassi che Alberto Sordi gay fosse un’infamia (non avrebbe tolto nulla al suo talento né, a mio avviso, alla sua persona in quanto non ci sarebbe stato nulla di scandaloso o di immorale), ma semplicemente perché era un gossip becero che non corrispondeva alla verità.

Negli anni passati ci furono voci sul suo orientamento sessuale dato che all’epoca era impensabile che un personaggio ricco e famoso non fosse sposato e non si fosse riprodotto. Il suo profondo rispetto per le donne e per la famiglia lo portò a sacrificare questo aspetto della sua vita. Sapeva bene, Alberto, che non avrebbe potuto dedicare molto tempo a moglie e figli in quanto lui era già sposato con il suo lavoro-vocazione al quale aveva deciso di dedicarsi anima e corpo. E sempre il profondo rispetto che nutriva per le donne lo portò a non vantarsi mai pubblicamente delle sue conquiste. Ma in un’era come l’attuale, popolata da super cafoni e da personaggi senza talento che fanno a gara per farsi immortalare con la preda appena conquistata per confermare al mondo intero la propria virilità e il proprio machismo, è un concetto impossibile da capire. Personaggini che per evitare l’oblio mediatico hanno bisogno come l’aria che respirano di tanti flirt, veri e soprattutto presunti, spesso costruiti a tavolino dai loro agenti. Oggi non è importante che qualcosa sia vero per essere credibile e ottenere l’agognata visibilità, è sufficiente che sia verosimile. Alberto non ha mai avuto bisogno di tutto questo per restare a galla e non perdere la visibilità, di lui parlava il suo talento. E non ha mai avuto bisogno di vantarsi delle sue conquiste amorose per dimostrare a tutti di essere un tombeur de femmes e togliere così, a chi lo invidiava e ai malpensanti, il tarlo del dubbio su un altro tipo di orientamento sessuale. Se avesse voluto lo avrebbe potuto fare senza nessun problema così come hanno fatto tanti suoi colleghi molto amati dal pubblico femminile.

A conferma di quanto sopra, quando Alberto morì, il regista Dino Risi, ricordandolo, dichiarò che con Sordi condivideva il piacere per le belle donne!

Durante la stessa presentazione pubblica del docufilm, Carlo Verdone espresse un suo giudizio sulla scelta personale e legittima di Alberto di non sposarsi e di non avere eredi: “Come battuta – disse – quando una persona è molto ricca, possiede molte cose, è auspicabile un matrimonio, è auspicabile avere un figlio perché tu devi lasciare queste cose, sennò apri il giornale e andiamo a leggere quello che abbiamo letto. Però non entriamo in quello che lui ha deciso di fare”. Appunto, non entriamoci e rispettiamo la sua scelta senza giudicare. Come affermava Martin Luther King “Giudico le persone in base ai loro princìpi, non ai miei”.

Nel documentario, Verdone intervistò Aurelia Sordi circondata dai domestici. Francesco Merlo, in un suo articolo pubblicato su “La Repubblica” il 7 maggio 2015, scrisse: “Quando Carlo Verdone andò a girare il documentario ‘Alberto il Grande’ e intervistò Aurelia capì subito che la sua anima era persa”. Merlo riportò anche le parole di Carlo Verdone: “Fu una fatica terribile. Alle domande rispondeva ‘ammappete’, ‘embé’, e solo con il montaggio tirai fuori una parvenza di logica”. E ancora: “Il giudice mi ha chiesto tutto il girato di quel documentario, e lo capisco. Da lì si vede quant’era debole e fragile Aurelia e quant’era facile approfittarsene”. Ma Carlo Verdone, qualche tempo prima, il 21 febbraio del 2013 subito dopo la notizia del presunto raggiro ai danni di Aurelia, raccontò a Michele Anselmi del quotidiano on-line “Lettera 43” una versione di Aurelia totalmente diversa: “Mi cadono le braccia a sentire queste cose. Mi auguro per lui (l’autista Arturo Artadi, nda) che sia un errore, che sia innocente. Aurelia spiegherà tutto. Ha quasi 95 anni, potrà apparire rallentata, ma è sempre lucida e sveglia, come si vede nel documentario”.

“Troppo forte”, Carlo Verdone su Sordi: “Aveva una paura matta di non far ridere più. Il personaggio me l’ha rovinato!”

Carlo Verdone e Alberto Sordi insieme fecero soltanto due film: “In viaggio con papà” nel 1982, per la regia di Sordi, e “Troppo forte” nel 1986, diretto da Verdone. Ma nel secondo film, Sordi non era stato contemplato da Carlo Verdone.

Lo rivelò Verdone stesso, diversi anni dopo la morte di Sordi, in una video-intervista che si trova su YouTube e in un’altra intervista a “Il giornale off.it” ripubblicata sullo stesso il 3 settembre 2014 a firma di Francesco Sala: “Sordi non doveva fare il film. Io volevo Leopoldo Trieste per il ruolo dell’avvocato. Poi, il produttore del film, non so, cose loro, forse un contratto rimasto in sospeso, mi chiama e mi fa: ‘Il film lo fa Sordi!’. E io: ‘Ma non c’entra niente!’. Abbozzai. Dovetti abbozzare con Sordi e lui fece di tutto per far ridere ancora. Aveva una paura matta di non far ridere più, di venire scavalcato da questa ondata di nuovi comici. S’è messo a fare la voce di Oliver Hardy, quei gesti strampalati quel ‘Di di da da…’. Il personaggio me l’ha rovinato! Non parlo volentieri di quel film, anche se so benissimo che i miei fan lo amano per tutta una serie di assoli: la palude del caimano, l’anaconda, il flipper, per me rimane un episodio, un compromesso. Se io mi mettessi a rifare alla mia età, continuamente, le voci dei miei personaggi di trent’anni fa direbbero: ma che fa Verdone? È patetico”.

L’uscita di Verdone contro Sordi fece (e fa tuttora) indignare i fan di Alberto. Lascia attoniti e amareggiati il modo con cui si espresse su Alberto. Il diritto di critica è sacrosanto, per carità, ma le espressioni e i toni usati da Verdone colpiscono. Entrambe le interviste furono rilasciate da Verdone molti anni dopo la morte di Alberto che così non ha mai potuto replicare. Anche Alberto non si trovò affatto bene a lavorare con lui in quel film, ma non lo ha mai detto pubblicamente. È una questione di stile e di eleganza. Nel cinema, come in altri settori, accade spesso di non trovarsi bene sul set con altri attori. E quando ciò avviene (come in questo caso) l’unico modo per evitare che succeda di nuovo è evitare di ritrovarsi in situazioni analoghe. Cosa che poi è accaduta. Verdone avrebbe potuto risparmiarsi almeno i commenti sull’interpretazione di Sordi che, invece, ha dato al film, a detta di tanti, una marcia in più. Chi fa cinema, poi, sa perfettamente che un nome di grande popolarità e molto amato fa sempre bene a un film e che i produttori pensano anche al botteghino.

Nel 2001, Alberto Sordi aveva affidato all’attuale cardinale Gianfranco Ravasi la “Fondazione Alberto Sordi per i giovani” mettendo nel consiglio di amministrazione personaggi illustri come il presidente di Bnl Luigi Abete e del mondo accademico, i professori Schlesinger e Guarino. Alcuni anni fa, però, il cda fu completamente rinnovato: presidente diventò Carlo Verdone.

“L’Italia doveva essere turistica e agricola, adesso sarebbero tutti occupati”

L’intervista inedita del 1995 di Luca Colantoni ad Alberto Sordi

Nel febbraio 1995, l’amico e collega giornalista Luca Colantoni, lo intervistò. Una lunga chiacchierata con lui pubblicata integralmente, per la prima volta, sul libro. Le riflessioni di Alberto sono talmente attuali che sembrano di questi giorni.
Alla domanda di Luca Colantoni, che cosa non si è fatto in Italia, Alberto rispose: “L’Italia non ha seguito un tipo di politica che doveva essere turistica e agricola perché il nostro è un Paese che si basa sul turismo e sull’agricoltura. L’avesse fatto probabilmente adesso saremmo una nazione senza problemi dove tutti sarebbero occupati, da Nord a Sud”.

Il video con l’ultimo saluto di Alberto al suo pubblico

“Adesso speriamo che quello lì che fa la mia imitazione sulla poltrona si ravveda perché non è neanche un’imitazione”

Della sua vita privata era talmente geloso che non parlò mai pubblicamente della malattia contro la quale combatteva da tempo. È uscito di scena all’improvviso e in silenzio. A dicembre del 2002, tre mesi prima della sua morte, Alberto, con un filo di voce, visibilmente sofferente, affaticato e dimagrito in vestaglia da notte sulla poltrona del suo studio con la coperta sulle gambe, si scagliò in un video contro il suo imitatore televisivo senza neppure dargli la soddisfazione di nominarlo con nome e cognome. Il filmato fu trovato dal giornalista Enzo Coletta che lo pubblicò su YouTube per condividerlo con i milioni di fan di Alberto, suscitando una commozione profonda da parte degli internauti. Il video, intitolato “L’ultimo saluto di Alberto Sordi”, dura 10 minuti e avrebbe dovuto essere proiettato soltanto per il pubblico del teatro Ambra Jovinelli di Roma dove, il 17 dicembre del 2002, fu organizzata una serata in onore di Sordi all’interno del programma di Roma Film Festival. Per l’occasione furono proiettati 30 suoi film scelti e messi a disposizione da Alberto (dalle sue copie personali) per il pubblico romano.

Per motivi di salute non poté parteciparvi e quindi registrò il video che si conclude con un bacio verso tutto il suo pubblico. Sordi cominciò il suo intervento con un’ironia amara e un’espressione severa parlando del suo imitatore televisivo che non ritenne degno neppure di citazione. Naturalmente si riferiva a Max Tortora.

Queste le parole di Alberto: “Da come sono vestito potete immaginare che cosa ho. Ma quello che fa la mia imitazione in televisione, che non mi dispiace qualche volta perché mi somiglia pure, mi ha messo su una poltrona con la coperta e da allora mi sono sentito dei dolori e mi ha bloccato. Ahò (in romanesco viene utilizzato per apostrofare qualcuno con stizza o risentimento, nda), non ce lo mettete più”.

Dopo aver ringraziato il pubblico, al termine del suo intervento, Alberto Sordi fece una pausa e con il dito indice accusatore rivolse il suo ultimo pensiero al suo imitatore televisivo. Ancora una volta non lo nominò e, sempre rivolgendosi al suo pubblico, disse: “A quello lì che fa la mia imitazione e che sta sulla poltrona con la coperta ditegli che si muova, qualche volta sono indicazioni, adesso speriamo che lui si ravveda perché non è neanche un’imitazione”.

Il suo ultimo pensiero pubblico lo rivolse quindi a “quello lì”. Alberto morì due mesi dopo quel filmato. Stava male da tanto tempo e quell’imitazione la trovava di pessimo gusto e, da superstizioso, la riteneva foriera di sfortuna per lui. Ironia della sorte, però, dopo alcuni anni dalla morte di Alberto, Max Tortora ricevette il Premio Alberto Sordi istituito dalla Fondazione Alberto Sordi (la prima delle tre Fondazioni, quella dedicata agli anziani, istituita e voluta da Alberto nel 1992). Chissà che cosa ne penserebbe Sordi!

Ci è voluta la scomparsa di Alberto per far “ravvedere” Max Tortora. Da quel giorno ha smesso di fare l’imitazione nei ben due programmi televisivi (Rai e Mediaset) in cui lavorava.

Su “La Repubblica” del 26 febbraio 2003, dichiarò di non aver mai parlato ad Alberto della sua imitazione: “So che non stava bene – spiegò Tortora – chiedevo notizie ai pochi che potevano contattarlo, Carlo Vanzina mi teneva informato. Ma mi fa piacere sapere che Sordi non disapprovava quello che facevo. Ecco, la sua mancata critica è il più grande complimento”. Invece, in quel video, Sordi dimostrò di disapprovare eccome.

Il 25 febbraio 2003, il giorno dopo la morte di Alberto, a TgCom24 Max Tortora affermò: “Non ho mai avuto la necessità di chiamarlo e chiedergli un parere sulla mia imitazione perché non volevo rompergli le scatole, ho sempre rispettato la sua esigenza di privacy e riservatezza”. Dalle parole di Alberto, invece, avrebbe dovuto sentirlo.